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Quale lavoro per il progresso materiale e spirituale della società e per la cura degli altri e del mondo?

L’evento del 20 febbraio ha avuto inizio in modo inaspettato con la canzone Groppone dei DuoVa, che illustra con ironia il calendario del contadino. Un video e un testo che rendono omaggio a questa attività, che mai come in questo periodo storico deve tornare ad avere la dignità che si merita, perché, qualunque stile di vita si abbia, dovremmo essere coscienti del fatto che ogni cosa che mettiamo nel piatto deriva da questa faticosa occupazione.

Don Andrea del Giorgio, viceresponsabile della pastorale sociale della Diocesi di Como, ha introdotto così il suo intervento, ricordando che il lavoro non è un concetto astratto, ma è la persona che nella realtà concreta realizza i suoi sogni, la sua vocazione, intesse relazioni e vive esperienze. È scritto che Gesù, nel tempo di Nazareth in cui diventa «fratello universale» e condivide la normalità dell’esistenza, «cresceva in sapienza, età e grazia». Sono tre dimensioni importanti anche per il nostro vivere. Sapienza: diamo sapore alla vita, vivendo la quotidianità in pienezza. Età: abbiamo bisogno di tempo per diventare grandi e sperimentare la fatica. Grazia: coltiviamo la vicinanza con Dio e troviamo il nostro posto nel mondo.

Il lavoro ha una sua spiritualità, come ci ricordava cinquant’anni fa Paolo VI dialogando con gli operai dell’Italsider di Taranto, cui dichiarò subito e francamente la difficoltà della Chiesa a capirli e a parlare loro. In quei padiglioni industriali immensi si poteva essere religiosi nei gesti e nelle operazioni che forgiano e modellano la materia, come quando Dio creò il mondo. In questo modo il lavoro ci rivela Dio che cura il giardino dell’Eden, dimostrando il suo amore per l’uomo.

Come provare a rispondere al titolo dell’incontro? Non si può rinchiudere la discussione in due opposte riduzioni: il lavoro è fatica e quindi va evitato il più possibile o il lavoro è tutto, si esiste solo se si lavora, dunque è la vita. Dobbiamo ritrovare uno sguardo “integrale” e plurale: il lavoro non è separato dalla vita e dal suo significato, ma non ne è il tutto, non è autoreferenziale e non può essere considerato solo in base a criteri economici. Uno sguardo integrale è sapiente, è sale che dà sapore a tutto il resto, collega i diversi soggetti e li tiene insieme, mettendo al centro la relazione. Don Andrea ha concluso lasciandoci alcune domande: quale educazione al lavoro ed alla fatica dentro le nostre famiglie, le nostre parrocchie, le nostre scuole? Com’è la nostra presenza laicale nel mondo del lavoro in termini di correttezza, onestà, legalità, attenzione alle persone e ai rapporti?

L’incontro è proseguito con il contributo di Ezio Cigna, responsabile nazionale previdenza pubblica della CGIL, che ha affermato che oggi, in un tempo di acutissima e perdurante crisi economica, il 28% dei giovani continua ad essere disoccupato. Questo dato ci porta a riflettere sulla loro difficoltà ad una vita dignitosa e all’impossibilità di costruire una famiglia. Sta fallendo un sistema economico che aveva promesso di crescere in modo illimitato, assicurando che tutti avrebbero avuto accesso al benessere materiale. A crescere, si è preso atto alla fine, sono state invece le esclusioni, le disuguaglianze, le speculazioni, gli indebitamenti e i rischi ambientali. Anche per chi lavora la percezione è diversa rispetto al passato, perché l’incertezza e la ricerca del massimo profitto per gli azionisti nel breve periodo sono causa dei contratti a tempo determinato e precari, che non danno stabilità ai lavoratori e li mettono in forte competizione tra loro perché i posti sono limitati e né l’impegno, né il talento possono bastare. Per fronteggiare gli effetti della crisi i vari governi hanno scelto la strada della liberalizzazione, della riorganizzazione flessibile dei rapporti di produzione e del lavoro (per esempio spalmando sull’intera settimana, domenica compresa, l’orario lavorativo) e dell’allungamento dell’età pensionabile. Viene meno però il contratto sociale tra generazioni che sta alla base del nostro welfare, garantito nel tempo dalla ridistribuzione equa e solidale delle risorse. Nonostante questi correttivi, evidentemente poco incisivi perché si limitano a ridurre il costo del lavoro abbassando i soli salari, il paese è ovunque in difficoltà: sono circa centosessanta i tavoli di vertenze aziendali aperti al Ministero dello Sviluppo Economico, decine le crisi di minori dimensioni, evidenziate dall’aumento del ricorso alle ore di cassa integrazione da parte delle imprese. Altrettanto preoccupante è l’andamento al rialzo delle domande di disoccupazione. Cigna ci ha parlato della sua esperienza diretta con le persone che incontra nei tanti luoghi da lui frequentati in tutta la penisola. Ci ha fatto entrare nel loro vissuto facendoci riflettere su ciò che provano quando sono obbligate, per esempio, a lavorare con basse retribuzioni o in situazioni che sanno essere pericolose e nocive per se stessi, per le loro famiglie o per l’ambiente in cui vivono. Possiamo realmente comprendere come si sentono questi uomini e queste donne che non sanno immaginare per loro e per i propri cari un futuro diverso?

Per ultimo ha preso la parola Massimo Minelli, presidente regionale di Confcooperative, la principale organizzazione di rappresentanza, assistenza e tutela del movimento cooperativo e delle imprese sociali italiane per numero di imprese (18.500), persone occupate (525.000) e fatturato realizzato (66 miliardi di euro). I soci rappresentati sono oltre 3.2 milioni.

Costituita nel 1919, ispira la sua azione alla dottrina sociale della Chiesa e, in ragione della funzione sociale che la Costituzione italiana (art. 45) riconosce alla cooperazione, ne promuove lo sviluppo, la crescita e la diffusione. Ma sono i numeri dell’intero mondo cooperativo, che fa riferimento all’Alleanza delle Cooperative Italiane, ad impressionare: 39.500 le imprese associate, 1.150.000 le persone occupate, 150 miliardi di euro il fatturato realizzato e 12 milioni i soci. La cooperazione incide sul PIL per circa l’8%, mentre la raccolta delle risorse finanziarie delle banche di credito cooperativo è pari a 158,4 miliardi. Le cooperative italiane sono una realtà capace di grande inclusione socioeconomica, dal momento che il 58% delle persone occupate sono donne e il 15% immigrati e che durante il quinquennio di crisi hanno aumentato l’occupazione dell’8% nonostante difficoltà crescenti. Questo in ragione della loro natura, che prevede l’indivisibilità del patrimonio e il reimpiego degli utili nell’impresa stessa, garantendo così lavoro stabile, sviluppo nel tempo e stabilità economica della società. Ponendo al centro le persone, le cooperative sono attente ai loro bisogni e alla centralità dei soci, che le controllano in modo democratico secondo il principio una testa, un voto indipendentemente dalla propria quota sociale. Queste condizioni rendono l’impresa cooperativa sostenibile e partecipativa, inserita nelle comunità in cui opera, impegnata a creare opportunità per le generazioni future.

Per descrivere nel modo migliore chi sono e cosa fanno i cooperanti, Minelli si affida ad uno straordinario sponsor: Papa Francesco, che l’anno scorso, nel discorso in occasione dei cent’anni della fondazione di Confcooperative, alludendo all’episodio del paralitico del Vangelo di Marco (cap.2, 1-5) ha detto: «La cooperazione è un modo per “scoperchiare il tetto” di un’economia che rischia di produrre beni, ma a costo dell’ingiustizia sociale. È sconfiggere l’inerzia dell’indifferenza e dell’individualismo facendo qualcosa di alternativo e non soltanto lamentandosi. Chi fonda una cooperativa crede in un modo diverso di produrre, un modo diverso di lavorare, un modo diverso di stare nella società. Chi fonda una cooperativa ha un po’ della creatività e del coraggio di questi quattro amici del paralitico. Il “miracolo” della cooperazione è una strategia di squadra che apre un varco nel muro della folla indifferente che esclude chi è più debole».

Ha terminato ricordando i punti qualificanti il lavoro cooperativo, che potrebbero, se solo volessimo veramente trovare modi alternativi di vivere, caratterizzare la società nel suo complesso: valorizzazione degli scarti prodotti dallo sfruttamento delle risorse come delle persone, cogestione e responsabilità dei lavoratori, giuste remunerazioni, moderne progettualità di welfare, giustizia sociale, dignità della persona, armonia con l’ambiente, conciliazione tra attività lavorativa e famiglia, finanza etica per condurre la società verso l’obiettivo di un’economia dell’onestà. Per sensibilizzare quest’ultimo importante tema era presente in sala Paolo Forneris, coordinatore dei soci di Monza e Brianza di Banca Etica.

La serata, protrattasi fino a tardi per permettere di poter andare più a fondo delle questioni e capire come concretamente ciascuno può contribuire al cambiamento, è finita con le riflessioni del pubblico, completate dalle risposte dei relatori.

La Commissione Famiglia

Per approfondire il tema segnaliamo: Giacomo Costa e Paolo Foglizzo, Il lavoro è dignità. Le parole di Papa Francesco (Ediesse, € 16). Banca Etica: www.bancaetica.it

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